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ONORE A DYLAN

A fine maggio ho visto Bob Dylan in concerto a Bergamo.
E perchè ne parlo solo ora? Perché ho avuto l’occasione di scambiare quattro chiacchiere con qualcuno al riguardo, perchè ho trovato due minuti per scrivere a tal proposito sul forum dei Res Rei, perchè mi sono confrontato anche con altri che a questo concerto c’erano e che condividono le mie banali ma sincere riflessioni, perchè ho giusto due minuti da perdere e altro non voglio perdere per un tale concerto.

Cominciamo subito a dire che mi è parso un concerto abbastanza onesto, anche se sicuramente breve. Il primo problema credo sia a mio parere,  da quello che ho sentito, il sound del nostro eroe: rimasto esattamente quello di 10 – 15 (20!) anni fa. O meglio questo è il MIO primo problema, a quanto pare quasi nessuno dei suoi fans ritiene che questo lo sia. Ma lasciatemi spiegare il mio punto di vista.
10 – 15 anni mi sembrano un pò troppi per pensare che la sua poetica non si sia spostata di una virgola. Sia nel canto (ok, è un eufemismo), ma soprattuto nella musica. Non bisogna stravolgersi, ma a volte basterebbe avere il coraggio di osare con qualche passo "diverso".
E penso al "Ghost…" di Springsteen. O al "Live in dublin" dello stesso. Due produzioni assolutamente springsteeniane, ma comunque innovative per lo stesso personaggio.
Meglio che non parli perchè forse nemmeno la mia "poetica artistica" sta cambiando, ma c’è anche da dire che è difficile farla cambiare se non puoi vivere appieno la tua arte e questo non significa nemmeno fare il professionsita, oberato di allievi e impossibilitato nel fare qualsivoglia cosa a causa del poco tempo e dei soliti grattacapi musicali.

Silenzio, tempo libero, scambi artistici, letture, visioni, ascolti e viaggi. Questo come minimo è il bagaglio necessario.
Se non li hai è dura cambiare poetica, agire sul confronto, camminare.
E chi ha la possibilità di possedere questo bagaglio, di viverlo, sfruttarlo e non lo fa, scusate, ma a me suona come il peggiore degli svogliati.

Lode e onore a Bob Dylan, ma resto convinto che l’harakiri dei Samurai a questi livelli è il massimo. Se sai di non poter dire più nulla, di essere arrivato al tuo apice, forse è meglio… certo SE lo sai di non poter dire nulla. Se ti accontenti di sfracellare le tue vecchie song con nuovi arrangiamenti che nuovi non sono, che suonano falsamente d’alta classe, ma che denunciano una scarsità assoluta di prove (e ci può anche stare, basta che non si capisca), improvvisazioni imbarazzanti (parto io, parti tu, partiamo insieme? Boh, tanto a questi va bene tutto…), questa facciamola lentissima (si semplicemente lentissima), "like a rolling…" me tocca farla, ma almeno rendiamola irriconoscibile e altre varie amenità.

Concedetemi, alla luce di questo discorso di bassa lega, un’ultima considerazione: il cammino dell’arte è fatto di costante crescita e non posso pensare che uno, che ne so, come Pollini si senta arrivato! Uno che fa arte non può sentirsi arrivato, ma deve voler proseguire, continuare, perseverare, perseguire, camminare.
A me il buon Bob mi ha dato la sensazione di uno che ha smesso di camminare (almeno) 10 anni fa. Con buona pace dei suoi adepti che ritengono che qualsiasi cosa faccia è fatta da un semideo orfeico, intoccabile e inavvicinabile.
Ha tutto il diritto d’essere tale, di sentirsi tale, di fermarsi, di rendersi intoccabile, inavvicinabile. Come io ho il diritto di dire che mi dispiace vedere questo artista che non ha voglia di dire nulla e che se dice qualcosa, lo dice a sé stesso. E cioè che se l’arte è comunicazione quando questa manca arte non è. E se la comunicazione avviene solo con sé stessi è arte mancata, presunta, inconclusa perchè in questo caso non esiste quella caratteristica a mio avviso fondante e cioè la carità con la quale ci si dona, attraverso questa presunta arte. Ne ho già scritto spesso, ed eccoci finalmente con un pò di pratica.
Ho anche il diritto di sentirmi trattato malamente, come una pezza da piedi buona solo a sganciare i 50 euro necessari per ascoltare certe prodezze sulla tastiera (ehm) e a vedere quanto il principe non abbia più vogliadi cantarsi. E questo, concedetemelo, lo si vede lontano 100 metri e cioè più o meno la distanza che separava la mia persona insignificante con la sua importante figura, china sul microfono e svogliata come solo le migliori star sanno essere…

All’uscita un caro amico incontrato per caso, fanatico di Dylan, mi dice: "beh dai, un concerto onesto, stessa scaletta di tre anni fa"… cioè fatemi capire: stessa scaletta? Medesime canzoni di tre (dico tre) anni fa?! Non dico di fare come Springsteen che la cambia ad ogni spiffero di vento o sussurro di fan, ma questo è proprio il massimo.
Mi rompo le balle io a fare un concerto acustico uguale all’altro a distanza di un mesetto (anche più), mi immagino uno che fa una tournè. Però anche questo, scusate, mi pare una bella prova di pigrizia.

Alla fine il sottoscritto, accompagnato da una amica fidata pisana (per fortuna c’era lei, almeno mi sono divertito) siamo andati ad un pub ancora aperto per cena (tanto era prestissimo…). Qui la barista ha messo sull’impianto del locale "Desire" di Dylan.
Tutto il disco.
L’abbiamo riascoltato dall’inizio alla fine.
Beh, grazie Bob per tutto quello che hai fatto.

Che HAI fatto.
L’importanza del verbo nella lingua italiana…

PS: inutile dire come hanno recensito "l’evento" i giornali locali. Si vede che sono abituati a farsi trattare in un certo modo.