Chiedendo perdono all’autore del pezzo per l’attesa spasmodica, pubblico finalmente, con brevi miei commenti, la seconda parte della lunga e dettagliata scheda tecnica dedicata a Rob Halford. Nuovi mp3 al riguardo li trovate naturalmente sulla Radio Blog. Buona lettura!
LEGENDA
Demian
Mauro
CAPITOLO SECONDO :“METAL RULES THE LAND!”
Il successo planetario, la mobilitazione delle masse, lo “screaming” il chiodo e le borchie.
“Sin After Sin” è il terzo Priest album , registrato nel 77 per la CBS con la produzione di Roger Glover (il bassista dei Deep Purple per chi non ha dimestichezza con i nomi).
Il tour di Sin After Sin fu il primo negli States.
La svolta stilistica fu abbastanza netta: ritmiche sostenute (alle pelli il giovane Mr. Simon Phillips, non certo l’ultimo degli stronzi), riff rabbiosi spezzati dai frequenti assoli eseguiti alternativamente o armonizzati. Ovviamente un bell’album, anche se non tra i miei preferiti, che impose definitivamente lo stile “Priest” come fondamento vitale della nuova musica “heavy”, dalla quale prese il via qualche anno più tardi, il movimento della NWOBHM (new wave of british heavy metal) di Iron Maiden , Saxon, Diamond Head e di tutta quella gentaglia lì.
Dal punto di vista vocale il cambiamento fu ancora più netto: vennero abbandonati (in parte) certi “azzardi” interpretativi (che rimasero seppur velati nelle ballad) a favore di una esecuzione molto più “dura”, “disinibita” e “criminale”, propriamente rock.
Ascoltando quest’album pare che Rob, essendo molto più padrone che in passato delle proprie capacità e certo del proprio carisma, riesca ad esprimersi con molta più determinazione ed efficacia, senza la necessità di “strafare” per attirare l’attenzione di un pubblico che ormai lo conosce e lo apprezza. Ecco che la voce non ha più come principale valvola di sfogo (perdonate la metafora idraulica) gli iper acuti dei precedenti album, ma diviene sempre meno ridondante e sempre più brusca e diretta, sempre meno di “stile aulico” e sempre più personale.
Da parte mia, però, ritengo che dietro questo approccio più fucking rock, oltre ad una precisa scelta stilistica ci sia stato lo zampino di un raffreddore bastardo, che lo accompagnò per tutto il periodo delle registrazioni. Grazie ad una rara sconfinata imbecillità della quale sono stimato ambasciatore, mi sono sempre divertito ad immaginarmi il Robby, sciarpettina di lana, nel suo ormai non più buco studio… pigna di fazzoletti da una parte, stavolata di jack daniel’s dall’altra; dietro al vetro della cabina mix la band e Glover a fabbricare spinellazzi mai visti : <<Ok sir, I need to sing it again…>> <<but it was cool!! Com’on Rob! Shout>>
Molto semplicemente e senza nessun raffinato approfondimento pseudo-saggistico-paraculo, ecco spiegati gli acuti “sporchi” e “ruvidi” di “Sinner” o “Starbreaker”, contrapposti a quelli (sempre in gola intendiamoci) di “Call for the priest”, più in vecchio stile.
Questo “sporcare forzatamente la voce” potrebbe lasciare perplessi, beh… possiamo discuterne, ma allo stesso tempo non possiamo trascurare l’effetto delle graffianti ascese di “Sinner”, la verve passionale di “Here come the tears” (seconda parte) e l’incedere magnetico delle voci di “Dissident Aggressor”.
Ho massimo rispetto per tutte le eventuali critiche tecniche (ci stanno via), ma qui, finalmente, abbiamo la possibilità di svincolarci dalla posizione di ascoltare passivo elevandoci psicologicamente su di un nuovo livello cognitivo, praticamente sul fottuto tavolo dello stupido salotto borghese di casa, ed intonare o stonare a seconda delle nostre possibilità: <<Saaaacrifice to vice or die! by the hand of the Sinnar! (con l’eco “innar/nnar/ar!) Sinnar!…. Sinnaaaaaroooooh!>>. Dall’alto si ha sempre una prospettiva migliore. Fra tutte le considerazioni di errori tecnici che si potrebbero fare (ma non si vogliono fare!) mi sembra piuttosto interessante, nel punto indicato da Demian, notare la differenza fra la nota acuta tenuta con la A e quella tramutata in O, con un gioco vocale in cui conta più l’esperienza che la tecnica. Ci sarà oramai chiaro che gli acuti di Halford sono, fin dagli inizi della carriera, tenuti grazie ad un buon uso naturale del falsetto. La naturalità dell’impostazione favorisce certo la possibilità di cantare discretamente e subito, ma ha il difetto che non contempla tutte le possibilità che la lingua d’utilizzo pretende. Per questo il nostro Halford si trova a suo agio con note che superano il Mi3 e con vocali come la O, di loro natura corpose e rotonde, o la I e la E che, in futuro, usciranno perché “schiacciate” sul palato. Le A di Sinner infatti, ascoltatele, sono davvero troppo chiuse, a metà strada, non completamente passate al registro di falsetto.
Appena però Rob accenna ad una intervocalizzazione verso la O tutto si aggiusta e il suono diviene più chiaro e nel contempo più potente. Impostazione naturale: brutta bestia se non la si prende nel verso giusto…
RADIO BLOG: N. 26 – EXITER A CONFRONTO (JUDAS PRIEST)
Tornando al disco: così al modico prezzo di “10 euro la botta” (i remaster costano dai 10 ai 12 Euro) lor signor e signore si assicurino, lo raccomando, la possibilità di assistere “all’entrata in scena della Voce” della quale sproloquiavo nel primo capitolo, chiuso il discorso.
“Dissident Aggressor”, l’ultimo stupefacente e tellurico momento di Sin After Sin, apre le strade al successivo album “Stained Class”, 1978, tra i migliori della discografia Priestiana.
“Stained Class” è un disco da ascoltare tutto di un fiato, contenente 9 tracce (11 nel remaster: una inedita e una live).
E’ forse l’unico lavoro dei Judas Priest che non saprei come definire decentemente (il mio italiano è purtroppo povero di termini ragionevoli). E’ un album strano, dai contenuti tetri ed evocativi, incentrato sul tema della morte.
Anche la voce si pone spesso in maniera che fatico a comprendere: stilisticamente credo ci sia stata una “mediazione” più o meno sensata tra l’approccio acuto e teatrale di Sad Wings e quello più immediato e “irascibile” di Sin after Sin (in un anno gli sarà pure passato sto raffreddore); questo più ampio margine di possibilità interpretative, però, forse non ha portato ai risultati sperati. Mi spiego: ci sono pezzi clamorosi “Exiter”, “Beyond the realms of death”, “Better by you better than me”, “Heroes end” con linee vocali che ottimamente si adattano alla musica (o forse dovremmo dire che è la band ad adattarsi a Rob), cambi di registro frequenti che creano momenti interessanti (heavy metallicamente parlando), altri pezzi invece sono cantati in modo certamente discutibile: “Saint in hell”, inizio di “Savage” (sempre metallicamnete parlando). La stessa e stupenda Exiter presenta punti “incerti”, il più evidente nel crescendo finale.
Non sono d’accordo con chi dice che Stained Class sia un album ben cantato, almeno non completamente: credo ci siano troppe parti “eccessivamente acute” che tendono a distogliere l’attenzione sui momenti più bassi e magari di maggior spessore. Sto parlando quindi di un difetto a monte, a livello compositivo, causa di diverse forzature o “stranezze” esecutive. E’ interessante a riguardo ascoltare la “revisione vocale” che diversi pezzi (tra i quali la title track) hanno avuto nel corso dei tours.
Ho unito i due finali proprio per comprendere l’abisso che esiste fra le due voci! La prima ha le E di STAAAND non ancora “schiacciate” sul palato (e questo crea quella fastidiosa sensazione di voce stridula sull’ultimo acuto!) e finale con una A apertissima e intervocalizzata che crea una sensazione di disagio. Assolutamente un brutto ascolto.
Nulla a che vedere con la tecnica e soprattutto l’esperienza che esce nel finale di Exciter presa dal live “Unleashed…”: E più schiacciate (quasi E/I nei punti più acuti) e il finale puntato dritto su una O intervocalizzata, molto più comoda, molto più rotonda. C’è un piccolo punto in cui la voce casca, ma è nulla in confronto a cosa esce. Un vero abisso! Riascoltatele!
RADIO BLOG: N. 27 – SINNER (JUDAS PRIEST)
Inoltre nemmeno credo di buon gusto la scelta di doppiare artificialmente la voce nelle parti alte, anzi(!), tanto per ribadire la mia propensione verso un modo schietto e sincero di rapportarsi nella vita, affermo che solo un fonico completamente deficiente possa mixare la voce in quel modo odioso! Per dio sta cantando Rob Halford, mica Ozzy! (dico Ozzy perché da Sabbath Bloody Sabbath in poi ha sempre avuto come sostegno voce quel combinato stupido di “pitch” ed “echi ravvicinati”, se aggiungete alla ricetta del riverbero con poco feedback otterrete l’ottantiano iper-pattone “effetto doccia”).
Resta comunque da tramandare, da generazione in generazione, l’ottima prova nelle canzoni citate, che migliora notevolmente nel corso dei live (diversamente che con altri cantanti è più facile apprezzare Rob nelle registrazioni tratte dai live rispetto a quelle in studio).
Discorso a parte andrebbe fatto per quel gioiello irripetibile di “Beyond the Realms of Death”, una tra le migliori ballad della storia del rock.
….Santo spinello! …..Una canzone avanti 10 anni…. come una gigantesca ed incredibile onda venne a spazzar via tutti i dubbi sulle capacità di quei 5 metallari di Birmingham.
Menti sublimi a loro modo, caotici alchimisti calzati di pelle scura che si facevano portatori di un linguaggio esplosivo in mi minore, strafatti di chitarre strafatte, “sbottati” da una voce assurda, necessariamente vertiginosa, incoercibile ed estrema.
Da ricordare per dover di cronaca che nel 1988 (10 anni dopo)“Better by you better than me” (pure essendo una cover degli Spooky Tooth) causò ai Priest un processo per istigazione al suicidio dopo la violenta morte di due giovani del Nevada, che si spararono fuori da una chiesa. Il pezzo fu incriminato perché contenente un ipotetico messaggio subliminale “Do it, do it!”.
Furono assolti.
Ma veniamo al culmine della faccenda: mobilitazione delle masse, chiodo e borchie!!
“Killing Machine” (“Hell Bent For Leather” per il mercato americano) seguito dall’uscita del live act “Unleashed in the East” è l’album dell’intamarramento. La band si presenta con un inedito look che diverrà quello di ogni metallaro che si rispetti: pelle e cuoio dalla testa ai piedi, cinture e bracciali borchiati. (non erano ridicoli come i Manowar però).
Rob è ormai leader incontrastato ed emblema della musica Heavy: voce irraggiungibile, carisma incontenibile, chiodo e Harley Davidson.
Killing Machine cerca di avvicinarsi ai gusti del mercato americano: canzoni dirette costituite da riff semplici, assoli contenuti, voce che tende a non insistere più sulle note acute.
Resta comunque un ottimo disco con buone linee vocali in tutte le canzoni. Sono felice di poter constatare la presenza di diversi pezzi che potremmo inserire nel laboratorio alfordi, una su tutte la stravagante “Evil Fantasies”. In questa canzone pare che Halford si sia letteralmente divertito a sconfinare oltre il consueto e cercare, contemporaneamente, di raggiungere un cantato spinto davvero imprevedibile. Falsetti, stridii, note aperte, chiuse, gutturali. Gioca e si diverte, ma si sente che sta provando a strafare, non a interpretare la canzone per motivi ad essa legati. Ma questa canzon- “laboratorio, proprio come la chiama Demian, mi pare di fondamentale importanza; non fosse altro per l’impatto anticipatore di un canto “sfregiato” e sfregiante che diverrà poi imposto sul mercato metal da quell’immenso ammasso di muscoli che si chiama Eric Adams, portavoce dei Manowar.
RADIO BLOG: N. 28 – EVIL FANTASIES (JUDAS PRIEST)
“Unleashed in the East”, è l’album definitivo che chiude la prima parte della carriera dei Priest. Personalmente mi permetto di consigliarlo a chiunque voglia apprendere il verbo Priestiano con un solo disco. La bibbia di Giuda.
E’ energico, caotico, irruente, senza pause, una volta che lo hai messo su… muahahah sei spacciato!
Alcune maldicenze ribattezzandolo “Unleashed in the studio” narrano che durante il tour asiatico il metal god perse quasi completamente la voce.
Che il suono risulti “pompato” rispetto ai normali standar live è cosa innegabile, che alcuni massicci effetti furono spudoratamente aggiunti in cabina mix pure, è però indiscutibile che la prova vocale sia stupefacente, talmente al di sopra delle righe che se è vero che Rob perse la voce durante quegli show, allora la perse a fin di bene.
Da notare come riesca ad esprimersi su altezze “immorali”, come possa miscelare classe e collera in ogni singola strofa, agilità e passione per tutta la durata dell’esibizione.
Vorrei porre l’attenzione sulla disarmante agilità nella dizione, sulle interpretazioni rivedute di Victim of Change e The Ripper, i picchi improvvisi di Rock Forever ( “I can’t stop talkin’ about…ROOOOCK”), Exciter (con il crescendo finale sistemato) e Green Manalishi (sempre il finale), “The Sinner” è da suicidio, Diamond and Rust commuovente, Hell bent for Leather magniloquente (anche se rispetto al resto è la canzone “commerciale”, è un po’ l’inno ignorante del metallaro medio, nel senso buono del termine).
RADIO BLOG: N. 29 – FINALI LIVE A CONFRONTO (JUDAS PRIEST)
Insomma perché tirarla alla lunga, scusate il tono da prima media: a me sto disco fa “sbroccare”, ovviamente moltissimi cantanti rock lo presero come esempio assoluto.
“All right yeh! There’re twenty thousand heavy metal maniacs here tonight! We are ready yeh… the Priest is back!”.
Anni storici quelli… che Voce, per Dio!