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FRA EDITING, ETICA E CODICI.
Posto alcune considerazioni fatte sul forum di UAR riguardo all’arte in generale e ai mezzi necessari per il raggiungimento della comunicazione che prescinde da essa.
Si toccheranno vari punti, alcuni forse molto tecnici (artigianali), legati al mondo della produzione musicale. Non nego che possa servire un’eventuale ricerca di alcuni termini tramite google. Questa mia non vuole essere una banale ed esecrabile operazione di cross posting, cercherò nel miglior modo possibile di immettere altre informazioni, data la libertà comunicativa che un blog personale mi concede.
Si comincia dunque, e si parte al volo dalle operazioni di editino nella produzione musicale contemporanea. L’editing è accettabile? Fino a quando lo è? Può essere definito arte? E se lo è, esiste dunque un’ “etica dell’editing”?
Dunque a mio avviso l’editing non è mai barare perché oggi giorno è quello che serve all’arte musicale, soprattutto in certi contesti, per potersi comunicare ad un’utenza. Se si necessita di certe prerogative che, se non soddisfatte, possono inficiare il risultato finale e quindi anche il valore intriseco di quanto comunicato, non raggiungerle è semplicemente anti-artistico.
Posso capire che mi si dica: "anche l’esecuzione è arte a sè stante" e, vi dirò, capisco il discorso, lo analizzeremo dopo.
Da un punto di vista puramente "teorico" (quasi filosofico) il messaggio veicolato tramite cd da studio o tramite live deve sempre esistere, solamente il passaggio avverrà attraverso l’utilizzo di strumenti diversi, che comunque devono esistere perché sono questi che con la loro sinergia formano l’oggetto artistico. A mio avviso infatti è una forzatura dire che i concerti sono "più rispettosi" della forma musicale, quando è fisiologico da sempre "produrre" i live, certo, anche se in modo diverso rispetto alla produzione del disco da cui nasce il concerto stesso; sarà quindi produzione che dovrà sostenere l’impianto comunicativo sapendo i propri limiti (pochi strumenti, no overdub nei limiti del possibile, suoni da ricostruire ad ogni evento) e i pregi (impianto visivo che accresce la comunicazione, la pressione sonora che comunque eccita, il pubblico stesso che è membro della performance artistca e accetta molte più storture rispetto al cd ecc).
La realtà dei fatti è questa: la correzzione è da sempre fatta e non solo in ambito musicale. Cosa è il labour limae se non la risistemazione in modo artistico di quel che di getto è uscito? Anche qui, si potrebbe dire (riprendendo un moto d’animo caro al romanticismo) che sarebbe stato meglio non fare questo lavoro "di lima", ma c’è chi risponderebbe dicendo che quella non è arte fruibile, ma arte, al massimo, potenziale e come tale dal valore nullo (perché il potenziale non sfruttato è pura comunicazione muta=inutile). Non mi sembra tanto assurdo pensare infatti che un Caravaggio qualsiasi non possa lasciare una mano errata nell’illuminazione, Mozart un errore armonico non voluto (bestemmia, scusate) o un Ansel Adams non curi la camera oscura per "rispetto" a quanto fotografato.
Sono artisti e come tali interessa dire la loro attraverso un mezzo. E questo, essendo MEZZO, deve essere piegato alle loro volontà.
Il bello del digitale è che sta mostrando a tutti "la falsità dell’arte". Ma questo non significa che l’arte sia infingarda, ma che l’arte NON è – e MAI deve essere – paragonata alla REALTA’ dalla quale essa prende forma!
L’arte è pura sublimazione, o almeno questo è il pensiero nato dalla tradizione che ci accompagna, e come tale non va mai confusa con una supporta riproduzione della realtà la quale, essendo la realtà stessa sfuggevole e irriproducibile per definizione, risulterebbe sterile, falsa (questa si!) e assolutamente inutile.
Prevengo giuste considerazioni al riguardo: questi sono errori "di arrangiamento" che un artista vede (e non è facile) e sa correggere.
Nell’editing però si parla di meri errori d’esecuzione, di solito dovuti a incompetenza o perché "fisicamente" impossibili.
Rispondo con un esempio: mi sembra comunque normale, anzi DOVUTO all’animo dell’artista stesso ed all’utenza eventuale, che un fotografo scatti utilizzando tutte le tecniche conosciute (o anche totalmente nuove) per raggiungere il risultato che si impone. E’ dovuto quindi scattare in bracketing una scena, scegliere la migliore esposizione, magari farne un HDR e poi correggere il tutto con Photoshop.
Perché quel che conta è quello che si voleva dire ATTRAVERSO questi passaggi, non QUANTO si è bravo a compiere questi passaggi! Cattelan a quanto ne so non è uno straordinario artigiano della materia, ma ci mette l’idea e questo basta perché tutti gli altri che lavorano per lui non abbiano nemmeno la menzione ad opera finita!
La vera disgrazia è quando si fanno queste operazioni per passare SOLAMENTE la presunta bravura! E allora c’è la tragedia artistica, l’ecatombe di ogni musa!
Il problema infatti non è "falsare" un live attraverso un editing selvaggio, ma falsarlo perché l’unica cosa che può donare ad un ascoltatore è la banale (perché senza motivo) "esecuzione perfetta".
Discorsi parecchio arzigogolati e assolutamente non oggettivi in tutte le loro parti.
Un’appunto sulla cosiddetta “arte dell’esecuzione”. Puntiamo in alto e prendiamo quelle storiche di Michelangeli? Non sono esse stesse arte?
Certo, ma a mio avviso lo sono per diversi motivi.
Primo perché rileggono pagine che da sole aprono l’olimpo all’uomo, secondo lo sono perché dietro ad ogni nota c’è un universo che si schiude ed è l’universo di Arturo, della sua idea di musica tout court: dal ritenuto come dice lui, al trillo lungo quanto dice lui, al farsi beffe dell’autore a renderne omaggio in modo perfetto.
Dietro ogni battuta c’è il dire e il ribadire di una filosofia di vita, anzi di una vita intera.
Più o meno lo stesso sentire che provo quando finisce Lilac Wine.
E questo è messaggio, motivo, esigenza sublimata.
Arte.
Un utente di UAR (grande fonico ed esperto nell’editing), nick Roberto Roccia, scrive:
“Thomas Haake (batterista dei Meshuggah) alla domanda “ma tu che sei un cosi’ bravo batterista, perche’ nel tuo ultimo album hai programmato l’intera batteria” rispose con un esempio pratico ed efficace: metti di andare a casa di un tuo amico che ti mostra un nuovo dipinto che ha acquistato, un quadro davvero bello, che ti trasmette emozioni, ok, a questo punto, che questo quadro sia stao fatto a tempera, ad acquerello, a spry, ti puo’ interessare qualcosa?”
E continua dicendo:
L’editing va fatto, che sia giusto o no, che sia etico o meno, credo non faccia differenza, quando va fatto, che sia anche solo gate sui tom, va fatto con cognizione di causa e con un metodo, quindi meglio avere persone formate e informate di come si realizza un edit, piu’ tosto che avere una persona che ti dice ma sai non e’ giusto editare, sarebbe un po’ come barare, ma se un artista un edit lo vuole, massiccio o leggero che sia, occorre sapr fornirglielo.
Sottoscrivo e vado oltre!
Io dico: chi se ne frega se una certa sfumatura, oggi giorno, NON è STATA FATTA dal pittore, ma da un altro suo collaboratore? Viene meno l’arte?!
Ma scherziamo? Sarebbe venuta meno l’arte se questa presunta sfumatura, così importante per la comprensione del messaggio, fosse stata di bassa lega! Non ricorrere ad un collaboratore TECNICO sarebbe stata una scelta ANTIARTISTICA, avvalersene è comprensione di quel che serve per la comunicazione artistica! E’ fare arte, anzi portarla a compimento, rendere un potenziale, reale! In questo senso tutte le procedure tecniche, puramente artigianali, che voi grandi fonici fate possono tentare di acquisire senso artistico! Altirmenti è puro artigianato!
Quel che sopra dice Roberto è proprio questo: comprendere DOVE, COME, QUANDO e SE cambiare sono scelte che mutano la comunicazione finale del prodotto e pertanto anche il "grado di artisticità" (semplificando eh). E queste scelte, assolutamente tecniche, contengono anche cognizioni creative, artistiche.
Siete parte di un processo amplissimo che punta ad un unico obiettivo: un’opera d’arte musicale redatta su supporto digitale.
Non esiste etica, non esiste senso di colpa (anche se è comprensibile sentirlo, vista la tradizione -che sta cambiando-), non esiste editing ordinario e straordinario. Esiste solo quanto necessario per.
Fine
del
Cinema.
So di dire qualcosa di profondamente "scandaloso", soprattutto nelle arti antiche (pittura/musica), legate nell’immaginario collettivo (VARIABILE!) alla maestria del singolo. Ma veramente quel che si chiede all’arte da sempre, come premessa per essere considerata tale, è che sappia esprimere qualcosa con tutti i mezzi conosciuti (e anche sconosciuti). IN più, oggi giorno, la strada per arrivare al prodotto artistico è compiuta in moltissimi ambiti da tante persone, non una come ad un tempo: tutti concorrono a formare il messaggio e veicolarlo attraverso l’opera.
Punto fisso è la comunicazione.
Operare nel bene della comunciazione è "fare arte" e in questo posso dichiarare che anche un mix-master-editing ecc è "artistico", perchè sono operazioni tecniche ed artigianli "tese a". E l’arte, essendo di per sé costruzione finalizzata a comunicare, è FALSA per definizione. Punto.
Si, falsa!
D’altra parte lo sapete benissimo che se suoniamo una cassa, riprendendola con un dato mic+pre cambia il suono. Cambi il mic, cambi il suono; cambi pre, cambi il suono. Ma dove è la Realtà? Dove la Verità? Dove è la realtà di una foto di un tramonto, magari ripreso in sottoesposizione (ben sapendo che l’occhio espone di più di qualsiasi obiettivo), con un grandangolo (sapendo che l’occhio ha un raggio minore), con una correzione automatica del software della fotocamera? Non è realtà anaturalmente e pensare che possa divenire anche solo "riproduzione più o meno fedele della stessa realtà" è errore (comune) di semiologia fotografica.
E le domande non finiscono qui. Dove è la Realtà? E’ quella che sentono le tue orecchie (e si sa che l’allenamento all’ascolto cambia tutto)? Quella che vedono i tuoi occhi (magari miopi)? Quella che elabora il tuo cervello (inevitabilmente condizionato da quel che vivi e che ti circonda)?
Si ritorna sempre allo stesso punto: l’arte presume lo sfruttamento della realtà circostante per la comunicazione di sé attraverso codici accettati di svariata natura. L’arte crea una realtà fittizia, unica e circoscritta e questa realtà viene creata appositamente dall’Artista (termine che oggi giorno può comprendere più persone, unite in Team).
All’utente finale è lasciata solo la decisione se essere pervaso da questa nuova realtà, viverla profondamente, scandagliarla e lasciarsi scandagliare da essa, o se abbandonare tale lettura.
All’artista poco importa. Lui l’ha fatto per sé. Solo dopo, semplicemente perché ne ha sentito la necessità, ha abbandonato la sua creatura al pubblico ludibrio.
Pura carità di un narciso.
Come sempre.